“Ritorno alla sostenibilità” – Guido Grossi

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Guido Grossi

Salve a tutti,

Oggi voglio parlarvi e riportarvi un’articolo che ho letto stamattina su Facebook. Ebbene si: anche su Facebook si trovano spunti interessanti di ragionamento che, a volte, possono aiutarci nella comprensione dei fenomeni macroeconomici che ci stanno interessando, quand’anche non “travolgendo” nell’ultimo periodo.

Alla luce di tutto questo, vi consiglio di leggere lo scritto che segue, ad opera di Guido Grossi, partecipante al gruppo aperto di Facebook “Italian default: il fallimento di una classe dirigente“; parla del nostro debito pubblico e di 2 ricette facili facili (all’apparenza) per restituire credito, solidità, accessibilità alla nostra economia nazionale. Insomma, in una parola, SOSTENIBILITA’.

“Ritorno alla sostenibilità” pubblicato da Guido Grossi il giorno martedì 14 febbraio 2012 alle ore 13.26

La mia posizione professionale di responsabile della struttura centrale dei mercati finanziari di una grande banca italiana mi ha posto in posizione privilegiata per osservare il tema del debito pubblico da un angolo visuale non comune: Il collocamento e la negoziazione dei titoli di stato. Anche alla luce dei diversi effetti che il possesso dei titoli da parte dei vari soggetti coinvolti può produrre sul livello dei tassi di interesse e sulle possibilità di collocamento.

Vorrei sottoporvi le mie riflessioni che sfociano in una possibile proposta. Diversa, per i motivi enunciati, da quelle che circolano in materia. Frutto di un lungo confronto con amici e conoscenti.

Scusandomi in anticipo per la inevitabile lunghezza del testo (e la mia limitata capacità di sintesi).

Il dilagare della finanza avvenuto negli ultimi decenni (negoziazione in titoli e derivati) ha comportato il passaggio di una quota consistente di titoli di stato dai portafogli dell’operatore famiglia ai portafogli degli investitori istituzionali esteri (600-800 miliardi, pari a circa il 40% dello stock).

Un grave effetto collaterale non positivo – a suo tempo difficilmente prevedibile – si è prodotto sulla stabilità dei corsi dei titoli e, quindi, sul livello di tasso d’interesse che deve essere sostenuto per il regolare collocamento.

In un paragone con una azienda familiare, è stato come passare dall’autofinanziamento, basato sulle risorse di genitori, fratelli e sorelle, al credito bancario, nella forma più critica dello scoperto di conto, revocabile in qualsiasi momento. Una spada di Damocle sulla testa del debitore.

L’idea che i mercati finanziari siano efficienti nella valutazione dei rischi, e che i professionisti che operano nella gestione degli investimenti siano esseri freddi e razionali è quanto di più distante si possa immaginare dalla realtà.

Gli investitori istituzionali hanno un obiettivo temporale di cortissimo respiro, hanno a disposizione mercati tecnologicamente efficientissimi che consentono la vendita delle posizioni in pochissimo tempo, elevata a potenza dall’uso dei derivati. Usano tecniche di valutazione che si basano sull’osservazione in tempo reale di innumerevoli variabili su innumerevoli mercati. Gli accadimenti su un qualsiasi mercato si ripercuotono sugli altri in maniera immediata e – spesso – ingiustificata. Accadimenti esterni possono provocare – e provocano – crisi dei prezzi assolutamente scollegate dalla valutazione dei “fondamentali” economici.

Monti ce lo ripete da tempo: i fondamentali dell’Italia non giustificano l’attuale livello dei prezzi, dello spread. L’Italia sta pagando sui suoi titoli un livello di tasso di interesse assolutamente non giustificato dalla situazione finanziaria complessiva del paese. 

Mi permetto di ricordare l’importanza di alcune grandezze finanziarie, come il valore del patrimonio pubblico e la ricchezza privata delle famiglie. Considerando anche queste, oltre al PIL, la valutazione della nostra posizione debitoria, nel confronto con gli altri paesi, appare decisamente diversa. Risulta dagli studi di Banca d’Italia. Di gran lunga più sostenibile di moltissimi altri, oggi apparentemente immuni da crisi ma che rischiano una vera e propria involuzione a causa di una situazione di debito privato, oltre che pubblico, abnorme (e non pubblicizzata).

Resta il fatto, con la sua conseguenza spiacevolissima. Il guaio, infatti, è che il livello dei tassi d’interesse di Bot e Btp è salito in maniera enorme negli ultimi mesi solo per effetti distorsivi operati dai mercati finanziari.

E’ passato da “sostenibile” a “insostenibile”. Differenza grave, pericolosissima e ingiustificata.

Fa bene Monti a correre a Londra e a New York a spiegare al mondo della finanza le nostre virtù.

Ma del mondo della finanza sarebbe molto meglio diffidare e trovare il modo di farne decisamente a meno.

L’idea che è nata dall’osservazione dei recenti accadimenti, discussa già con molti amici e conoscenti, è quella di tornare ad una gestione domestica del problema del debito. Le risorse ci sono.

Il passaggio dalla dimensione “familiare” a quella bancaria non è stato causato dalla crescita del debito. I motivi sono complessi ma per ora è meglio tralasciarli. Quello che conta è che le risorse domestiche sono abbondanti, e vengono utilizzate diversamente.

Basti dire che le famiglie italiane detengono nei loro portafogli 400 miliardi di titoli di stato esteri, che sono spesso più rischiosi dei titoli italiani e quasi sempre hanno rendimenti inferiori. Oppure ricordare il valore di stock della ricchezza privata delle famiglie: superiore ad 8000 miliardi, ben oltre quattro volte l’intero ammontare del debito pubblico. La stima del patrimonio pubblico è più difficile ma la consistenza complessiva supera ampiamente lo stock del debito.

Le risorse ci sono, dunque. Utilizziamole.

Ci sono due modi che possono essere efficaci per convincere le famiglie italiane a tornare ad acquistare Bot e Btp.

1. Rendere sicuro e conveniente l’investimento.

Lo si può fare mettendo il patrimonio pubblico a garanzia del rimborso dei titoli acquistati e detenuti dalle famiglie italiane. Escludendo accuratamente e categoricamente la garanzia per gli investitori esteri.

Non è di immediata comprensione la cosa, perché il grande pubblico ignora la circostanza che i titoli di stato non solo non sono garantiti da nessun bene reale, ma neppure da alcuna procedura esecutiva. Se uno stato fallisce, non rimborsa i suoi debiti e nessun giudice può intervenire ad aggredire i suoi beni per soddisfare i creditori. La negoziazione con i creditori (come oggi in Grecia) avviene esclusivamente per assicurarsi prestiti successivi.

E’ importante spiegarlo, anche alla luce di quanto sta avvenendo oggi. Nelle passate esperienze di default controllati (negoziati con i creditori) gli stati hanno sempre privilegiato gli operatori famiglie nazionali, per ovvi motivi. Quello che sta avvenendo in questi giorni in Grecia è grave, perché modifica le regole del gioco. In un eventuale futuro default saranno rimborsati prima i fondi europei, gli investitori istituzionali e solo per ultimi, gli operatori privati.

E’ necessario operare per tempo.

L’effetto principale della manovra sarebbe quello di riportare il costo degli interessi ben al di sotto di quelli antecedenti la crisi degli ultimi mesi. Contribuendo in maniera consistente al contenimento del debito.

Riportando la situazione nell’ambito della “sostenibilità”.

La proposta ha il pregio collaterale di mettere al sicuro il patrimonio pubblico dalla tentazione di venderlo (svenderlo) per fare cassa. Tentazione non ipotetica: ripetutamente si affaccia.

Quel patrimonio non è nostro. Proviene dai nostri padri ed appartiene ai figli dei nostri figli. La nostra generazione non ha il diritto di utilizzarlo per coprire le dissennate spese che abbiamo tollerato nei decenni passati.

2. C’è un’altra fonte di ricchezza privata di grande entità che deve essere utilizzata per il buon fine di salvare la situazione. I fondi neri detenuti illegalmente all’estero.

Voi tutti sapete che Francia Germania ed altri hanno concepito l’idea di tassare con aliquote intorno al 30% quei fondi, depositati prevalentemente in Svizzera. E’ possibile fare di meglio.

Con il crescente malumore nei confronti della finanza speculativa e dei suoi privilegi, è venuto il momento di aggredire con determinazione il tema del segreto bancario e dei paradisi fiscali. Una legislazione decisa in materia avrebbe una potenzialità enorme per il nostro paese. Se l’evasione stimata in un anno si aggira intorno ai 150 miliardi di euro, immaginate voi l’entità dello stock di ricchezza detenuto dagli Italiani all’estero, accumulato negli anni.

Qualsiasi azione che abbia come obiettivo la riduzione del debito, deve guardare in quella direzione con estremo interesse. Non solo per l’entità della posta. Ma anche perché si tratta di risorse che, almeno in parte, non sono attualmente dentro il sistema.

Sottrarre con tasse o altri metodi risorse al sistema produttivo, comporta oggi una inevitabile aggravarsi della recessione. E date le condizioni pessime del ciclo interno ed internazionale, si tratterebbe di manovre rischiose e comunque dolorose.

Trovare risorse esterne è una strada decisamente più allettante, almeno al momento.

Questa è la proposta.

I detentori di capitali a nero:

– dichiarano il possesso;

– pagano una tassa sul patrimonio del 10 – 15%;

– Investono una somma pari al 70% in titoli di stato a lungo termine che hanno tassi contenuti (1,5-3%) e sono garantiti da patrimonio pubblico;

– hanno la garanzia che non saranno previste in futuro tasse ad hoc su quei capitali.

La mancata adesione alla proposta configura un nuovo reato che è punibile con:

– Il pagamento del 120% delle somme scoperte (che vuol dire sequestro integrale più un ulteriore 20% da pagare);

– una pena detentiva da 5 a 20 anni (il massimo edittale garantisce tempi molto lunghi per la prescrizione ed innalza la possibilità di essere scoperti in futuro);

– è perseguibile con un procedimento esecutivo ad hoc, breve ed efficiente, che limiti la possibilità di contrattare una riduzione della pena, garantendone l’applicazione.

Non è certo che l’adesione sarebbe massiccia. Però la riduzione dei margini di copertura del segreto bancario e la lotta decisa contro i paradisi fiscali, uniti alla durezza delle pene previste in caso di successiva emersione, potrebbero rappresentare una spinta non indifferente al successo dell’iniziativa.

C’è un vantaggio collaterale importante che discende dall’azione proposta. L’emersione dell’economia sommersa che ragionevolmente ne potrebbe conseguire.

Quella emersione comporta l’innalzamento automatico del valore nominale del PIL, contribuendo anche per questa strada a ricondurre la situazione del debito verso valori più accettabili e gestibili.

L’unione di questa proposta, poi, con quella dell’associazione art. 53 in materia di riforma fiscale, favorirebbe contemporaneamente il recupero di somme evase in passato e l’emersione del sommerso presente e futuro, con un effetto positivo enorme sul PIL e sul gettito.

L’obiettivo di riportare il problema del debito pubblico del nostro paese nell’ambito della normalità e della sostenibilità è di una importanza oggi non rinunciabile.

La straordinarietà verso la quale ci hanno spinto sicuramente la nostra innegabile leggerezza e la scarsa credibilità non deve occultarci l’aspetto fondamentale odierno: sono i meccanismi perversi e irrazionali dei mercati finanziari che hanno spinto la situazione verso la “non sostenibilità”. Questi devono essere spezzati con coraggio, perché le soluzioni indicate dalla fretta, dalla paura e dai sensi di colpa non potranno essere buone soluzioni.

Facciamola valere, la nostra credibilità. Il nostro orgoglio di essere italiani.

L’aiuto economico e finanziario che chiediamo come Paese all’estero non sarà mai fraterno, mai disinteressato. Mai conveniente. La Grecia ci sia d’esempio.

L’Italia ha risorse umane e finanziarie enormi. Ha urgente bisogno di riscoprire i propri valori e le proprie possibilità. Valore che le scelte degli ultimi decenni hanno purtroppo offuscato, ingenerando sensi di colpa e paure che non ci aiutano a vedere con chiarezza. E’ tempo di aprire gli occhi, perché i rischi che incombono sono elevati.

Concludo tornando al paragone iniziale: l’azienda familiare che ha deciso di fare ricorso allo scoperto di conto bancario –  che la banca può revocare a piacimento e in qualsiasi momento – deve sapere, con consapevolezza e responsabilità, che quel supporto sarà disponibile solo fino a quando le cose vanno per il verso giusto.

L’inizio delle difficoltà farà sparire quel sostegno, o lo farà diventare sempre più gravoso, insostenibile, causa esso stesso del precipitare di una crisi che, per altri versi, sarebbe stata sicuramente gestibile e risolvibile.

Usciamo, in fretta, da questa situazione perniciosa.

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