Articolo 18 solo in due casi. Continua la discussione sul Jobs Act

articolo 18

Ieri si è tenuta la direzione del PD dove si è discusso (ancora) dell’articolo 18.

Qui un articolo del Sole24ore dove potete leggere la cronaca di quanto si è discusso, votato e deciso.

In sintesi

La posizione è quella di superare l’articolo 18, mantenendo il reintegro per i licenziamenti di carattere discriminatorio e disciplinare.

Verranno liberati: 1 miliardo di Euro per allargare le maglie del patto di stabilità, 2 miliardi da tagli al costo del lavoro e si lavorerà per inserire parte del TFR nelle buste paga dal 2015, 1,5 miliardi per i nuovi ammortizzatori sociali.

Dovrebbe poi essere introdotta una disciplina per il licenziamenti economici che andrebbe a sostituire l provvedimento giudiziario direttamente con un indennizzo economico al fine di ridurre l’incertezza del provvedimento giudiziario.

Queste sono le basi su cui poggia il tentativo di mediazione tra Renzi e la minoranza del PD. I risultati alla fine della conta sono stati:


Alcuni passi salienti di quanto dichiarato da Renzi:

“Costruiamo un nuovo Welfare, votiamo una posizione chiara sulla riforma del lavoro, le mediazioni vanno bene, ma non si fanno a tutti i costi i compromessi”;
“Alla fine si vota allo stesso modo in Parlamento, questa per me è la stella polare”;
“Riformare il diritto del lavoro è sacrosanto. E a chi mi dice che eliminando l’articolo 18 togliamo un diritto costituzionale, rispondo che il diritto costituzionale non sta nell’articolo 18, ma nell’avere almeno un lavoro”;
“Lasciando ai giudici le decisioni sul licenziamento aumentiamo il contenzioso e non difendiamo i lavoratori”;

Le dichiarazioni dell’opposizione interna:

 “Quella norma ha avuto effetto di deterrenza, se la togli indebolisci il lavoratore che avrà più difficoltò a dimostrare la discriminazione. E togliere a un giudice la possibilità di intervenire non produrrebbe un beneficio nella nostra economia», ma una lesione costituzionale” (Cuperlo);
“Attenzione a dire che l’art.18 è simbolico, non vale niente. Per 8 milioni di persone conta qualcosa nel rapporto di forza e per chi si dice di sinistra è una questione di principio: dice che non è tutto monetizzabile” (Bersani).

Come funziona all’estero?

A questo Link, potrete trovare un’interessante infografica comparativa sulle regole di licenziamento in Europa:

Come potrete accertare, c’è una grande frammentazione all’interno dell’Unione Europea sulle regole di licenziamento. Le differenze sono abbastanza sostanziali tra diversi paesi. Sono comunque previste diverse fattispecie: alcune sono accertabili mediante provvedimento giudiziario, altre si gestiscono direttamente con specifiche norme.

Articolo 18 è un solo un totem?

L’articolo 18 è solo un totem o rappresenta effettivamente una garanzia per il lavoratore e per il mercato del lavoro in genere?

Effettivamente, e non solo ultimamente, si parla molto di “rigidità del mercato del lavoro in Italia” di difficoltà nello sviluppo di serie e incisive politiche occupazionali e della difficoltà di ingresso di capitali stranieri proprio per l’incertezza della norma che regola i licenziamenti nel nostro Paese.

Innanzi tutto c’è da dire che l’articolo 18 alla fine interessa solo il 57% dei lavoratori dipendenti (circa 6,5 milioni di persone) sul 100% dei lavoratori che pesa circa 23 milioni di individui. (Fonte ISTAT 2012)

Quindi possiamo affermare che l’articolo 18 interessa potenzialmente solo il 28% della forza lavoro occupata in Italia.

Va anche considerato che circa 3,5 milioni sono dipendenti pubblici (maggiormente impattati da modifiche all’articolo 18).

A me sembra che l’articolo 18 venga concepito dalle forze sindacali come uno strumento, come unica concezione possibile della soluzione del conflitto tra capitale/impresa e classe operaia.

Questa visione nel tempo ha portato le imprese estere a considerare l’Italia come il paese dove il fare impresa è subordinato a decisioni giudiziarie non sempre imparziali.

Buona parte di responsabilità è da attribuirsi a Sindacati che difendono l’indifendibile pur di continuare ad affermare la dicotomia padrone-lavoratore e di identificare il primo come nemico “tout court”. Il tutto si concretizza in una continua quanto sterile organizzazione dello scontro per il reintegro. Invece i Sindacati dovrebbero occuparsi di contrattazione, sviluppo del lavoro e miglioramento delle condizioni sociali dei rappresentati.

Concludendo, credo si debba raggiungere una mediazione tra Governo e forze sindacali al fine di costruire non tanto un’alternativa all’articolo 18 (che ritengo effettivamente un totem e quindi rimpiazzabile con una norma più moderna e flessibile) quanto, piuttosto, un nuovo modello di mercato del lavoro. Un nuovo modello che sia più flessibile e che garantisca un livello base di tutele per TUTTI i lavoratori e che non tenga in piedi l’attuale scenario fatto di lavoratori di serie A e di serie B. Un nuovo modello di ammortizzatori sociali che permetta, a fronte dell’uscita del lavoratore, la sua continua formazione ed il suo corretto replacement.

Spero si sia finalmente sulla giusta strada.